Enrico tempo fa mi ha scritto qualcosa che mi ha resa felice. Immediatamente, candidamente, profondamente.
Aveva visto la mia zine “Perché vale sempre la pena iniziare”, e qualcosa è scattato.
“Io quando ho visto questa zine, l’ho vista in un video animato. Per fare un video ci vuole la musica. E io te ne ho scritta una.”
Morta. Finita. Mamma, ho raggiunto lo stato di grazia, a posto così.
Momento di incredulo imbarazzo: in che senso mi hai scritto una musica…
Enrico non è solo un caro amico, è anche un talentuoso musicista con cui non ho mai avuto occasione di collaborare. E come tutte le cose migliori, è capitata in un momento del tutto casuale ma incredibilmente appropriato.
Quando mi ha mandato il primo edit, me ne sono innamorata.
Ho lasciato passare qualche giorno e ho prodotto una nuova zine. È vero che la musica era stata scritta per una già esistente, ma mi sembrava sprecato non provare a pensare a qualcosa su misura. Ho provato a metterle insieme, parole e note, ma non funzionavano. Due entità separate. Per quanto avessi voglia di portare avanti il progetto, non era quella la direzione. Solo poi mi sono resa conto dell’errore. Sentivo questa musica così vicina a me, eppure non l’avevo usata, non ci ero entrata veramente.
Poi è arrivato il lunedì sera, ho messo il pezzo in loop in cuffia. Non serviva andare lontano a cercare chissà che significato, bastava ascoltare, lasciare che le sensazioni venissero a galla. Le parole sono nate cinque minuti dopo. Lavorando via whatsapp il processo è stato abbastanza immediato: Enri, ecco di cosa deve parlare la zine. Di casa.
Ho scritto la bozza, ci ha convinti. “È lei.”
Il fattore video non mi ha fatta vacillare neanche per un momento. Volevamo fare uno stop motion, l’avevamo capito dal secondo messaggio, ma né io né Enrico ci eravamo mai cimentati.
“Ok, impariamo.”
Non sono mai così intraprendente. Io sono pigra, le cose devono riuscirmi in modo piuttosto facile altrimenti le abbandono presa da scoramento e soprattutto non ci devo impiegare dei secoli, perché poi cala l’entusiasmo. E le abbandono.
Stavolta è stata diversa.
Sarà che lavorare con qualcuno al di fuori della tua testa incrementa la motivazione. Sarà che se quel qualcuno è coinvolto quanto te, ti fa sentire supportata e in qualche modo responsabile. Sarà che quella musica non potevo proprio lasciarla in una cartella silenziosa in mezzo al desktop. Insomma, ho comprato un cavalletto, guardato dei tutorial, scaricato un’app e disturbato il mio amico Carlo e in qualche modo ne siamo venuti a capo.
Parlare di casa per me è sempre stato delicato.
Ho capito nel corso del tempo che casa non dev’essere per forza un luogo fisico, tantomeno il luogo fisico in cui ti ritrovi per qualche ragione a vivere.
Quando ho ascoltato il brano che mi ha inviato Enrico, ascoltato veramente, mi ci sono riconosciuta. Mi ha portata in una dimensione di pace e interezza che di solito ritrovo solo quando mi sento a casa – ho imparato a chiamarla così, quella sensazione. Mi ha fatta pensare a quante volte, in questo 2020, abbia dovuto ridefinire il concetto stesso di casa, andare a cercarla, reinventarla nel pensiero, quando quella fisica diventava troppo stretta. Mi è sembrata una bella coincidenza poter fare questa riflessione alla fine dell’anno, riassumerla in 8 pagine nate grazie alla melodia che mi è stata regalata.
Se ho scritto tutto questo è banalmente per ricordarmi del grande potere che deriva dalla possibilità che abbiamo di condividere – banale sì, ma a me capita di doverlo riscoprire ogni volta. E soprattutto per ringraziare Enrico che, oltre ad avermi fatto scoprire che possiamo fare cose che non pensavamo di saper fare, mi ha costruito una nuova casa in cui tornare.
xx
Veronica